Addio Adriano Ossicini, grazie

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Intervista rilasciata nel 2017 da Adriano Ossicini a Cultura e Professione sullo stato dell’arte della psicologia italiana

Domanda: Prof. Ossicini, Lei è sicuramente un personaggio essenziale per la Psicologia italiana, specialmente perché ha dato un contributo fondamentale per l’approvazione della legge che, nel 1989, ha finalmente istituito la figura dello Psicologo in Italia. Ma Lei è una figura speciale anche per altro: ha fatto il partigiano, è stato catturato dai fascisti, ha contribuito al salvataggio di molti ebrei durante l’invasione nazista, inventando il morbo K (insieme al suo primario dell’epoca) ricoverandoli all’Ospedale Fatebenefratelli) per sottrarli alle milizie nazifasciste?

Ossicini: Sono stato condannato a morte, in contumacia, dal Tribunale di Guerra Tedesco per questo.

D.: Pur essendo medico si è quindi appassionato alla Psicologia, da dove è nata questa sua passione?

O.: Si è trattato fondamentalmente di una reazione alla Medicina organicista dominante in quel periodo in Italia. Ho cominciato sottoponendomi ad un percorso di analisi personale e mi sono formato in Psicoanalisi; avevo infatti colto la grande novità rappresentata dalla psicologia. L’Italia vede era allora un Paese abbastanza arretrato sul piano medico, dominato da una medicina organicista e mi ero reso conto che questo rappresentava un terribile limite ed ho quindi promosso un graduale distacco della Psicologia dalla Medicina come reazione alla sua medicalizzazione e per permettergli di raggiungere una sua autonomia, una professione che aveva una sua scienza e che bisognava di un suo Ordine e di un suo Albo, distinti da quelli medici. E finalmente nel 1989 questo risultato è stato raggiunto.

D.: Lei ha sempre avuto un approccio molto critico si verso le posizioni organiciste di stampo medico che quelle eccessivamente ideologicate di stampo psicologico che tendevano ad annoverare la Psicologia e la psicoterapia nel campo delle Scienze Umanistiche senza riconoscerle una sua unicità scientifico culturale?

O.: Si, perché in tal modo rischiava di diventare un qualcosa di molto fumoso, una specie di filosofia; ma la scienza è una cosa seria, che si basa su esperienze, documenti attendibili, sperimentazioni controllate. Per fortuna la Psicoanalisi ha portato un contributo scientifico innovativo contribuendo alla conoscenza della dinamica interna dei processi psichici, che, viceversa, era scomotizzata come fatto medico organico che, dii fatto, non spiegava nulla.

D.: Lei dal 1973 al 1989 ha portato avanti una lunga e difficile battaglia parlamentare, sino all’approvazione della Legge che disciplinava la professione di Psicologo e l’attività psicoterapeutica anche Italia; quali sono stati gli ostacoli che ha incontrato e che hanno reso così lungo questo iter?

O.: Principalmente l’ostilità della Medicina italiana, ancora troppo organicista, rigida, basata su una cultura ancora di tipo ottocentesco e che pensava di poter spiegare tutto l’agire umano attraverso lo studio di tessuti e cellule, negando l’esistenza di una dinamica psichica più profonda. Ma il rapporto mente/corpo è molto più complesso, non si può ridurre solamente al cervello in senso organico, certo esiste il cervello (il frontale, l’occipitale, il parietale) però esiste qualcosa di più profondo, una dinamica psichica che va al di là dei tessuti e che va studiata con attenzione.

D.: Come si spiega la forte opposizione dell’Ordine dei Medici di allora all’approvazione della Legge che istituiva Albo e Ordine degli Psicologi con la richiesta, fatta dallo stesso, di consentire anche ai laureati in Medicina di accedere alle scuole di Psicoterapia previste proprio da questa Legge per formare i futuri psicoterapeuti?

O.: Perché reputava che anche la formazione psicoterapica dovesse essere di stampo organicista, un a vera e propria psicofisiologia applicata.

D.: Che cosa ha sbloccato la situazione e permesso di giungere all’approvazione della Legge?

O.: Una mia personale battaglia, in una prima fase quasi solitaria, poi è arrivato Basaglia che ha dato un suo contributo, ma la battaglia è durata ancora a lungo. Pensi che ci sono volute ben sei legislature per arrivare alla definitiva stesura ed approvazione della legge, fortuna che io sono stato che è stato eletto per più legislature in parlamento, ben sei appunto.

D.: Chi si è trovato a fianco come alleato in questa sua battaglia?

O.: Praticamente quasi nessuno, se si esclude appunto Basaglia in una prima fase, poi Ammanniti e un po’ anche Antonucci, ma, in particolare, Bollea, che, pur essendo un neuropsichiatra infantile, ha capito la psicoanalisi. Eh si Bollea ha fatto molto.

D.: Bollea che gestiva con Lei un Centro Medico Psico Pedagogico, dove Lei ha svolto per decenni psicoterapia infantile.

O.: Si, ho fatto molta psicoterapia infantile, è affascinante lavorare con soggetti in età evolutiva.

D.: Come vede oggi la Psicologia?

O.: Maluccio, perché è sempre risorgente l’atteggiamento di stampo medico organicista. Bisogna capire che la Psicologia non c’entra niente con la Medicina, non più di quanto c’entri con la Filosofia, è, semplicemente un’altra cosa. La Psicologia ha una sua autonomia e non solo perché’ ha un suo Albo ed un suo Ordine, bensì perché ha una sua autonomia scientifico culturale. Freud e tutta la Psicologia non c’entrano niente con la Medicina.

D.: Quali crede siano le sfide più importanti che la Psicologia deve affrontare in questo periodo storico?

O.: Riuscire a non tornare indietro.

D.: Cosa pensa della tendenza a far rientrare la Psicologia e la professione psicologica tra quelle sanitarie?

O.: Penso che sia un errore e io lo combatterò sino a che potrò.

D.: Che effetti pensa possa provocare un’eventuale inserimento dell psicologia tra le professioni sanitarie?

O.: Rischierebbe di riportare la Psicologia in ambito medico e la Psicologia non c’entra niente con la Medicina.

D.: Oggi si parla di professioni limitrofe, solo per citarne una: il counseling, Lei come la vede?

O.: Positivamente, ma solo se si opera con rigore scientifico.

D.: E si può stabilire un confine tra psicoterapia e counseling dal punto di vista operativo?

O.: Si, senza dubbio, se fatto seriamente.

D.: In questo senso il counseling potrebbe rientrare tra le competenze psicologiche?

O.: Si, senza dubbio, vi rientra.

D.: Quale consigli darebbe ad un giovane psicologo che comincia oggi la professione?

O.: Di formarsi personalmente, cominciando dall’analisi personale, che ritengo fondamentale; serve infatti a conoscersi con le nostre particolarità ed i nostri limiti: se non ci conosciamo non posassimo dedicarci a conoscere gli altri.

D.: Oggi c’è un grande interesse per le Neuroscienze_

O.: E’ giusto, le Neuroscienze sono importanti ma bisogna evitare di minimizzare la formazione personale. Lo psicologo si deve formare prima come persona e per farlo si deve sottoporre all’analisi personale; solo dopo analizzare gli altri. Come è scritto nel tempio delfino: “Conosci Te stesso”.

D.: Lei cita molto la Psicoanalisi ma, nel corso degli anni si sono affermati altri approcci psicoterapici?

O.: Gli uni e gli altri non sono incompatibili.

D.: I diversi approcci possono quindi convivere?

O.: Si, naturalmente, ma ognuno deve mantenere la propria specificità.

D.: Cosa immagina nel futuro della Psicologia?

O.: Difficile dirlo, spero che resista all’inquinamento.

D.: Che tipo di valore può avere l’agire psicologico in una situazione sociale come quella che stiamo vivendo, messa a dura prova dalla difficile situazione economica?

O.: Un valore fondamentale, perché se una persona non si reimposessa della propria Psiche e delle proprie forze psicologiche non può reggere all’urto della realtà sociale in cui ci troviamo. Difatti io mi ritengo fortunato di aver fatto l’analisi personale che mi ha molto irrobustito, mi ha reso meno permeabile a tutto questo casino in cui siamo immersi; penso che se non avessi fatto l’analisi personale sarei molto più fragile e magari neanche me ne accorgerei, come succede, purtroppo, a molti miei colleghi medici.

D.: In Inghilterra, quando è cominciata la crisi si è deciso di assumere migliaia di giovani psicologi nel Sistema Sanitario Nazionale per aiutare le persone ad affrontare le situazioni di difficoltà personale che la crisi economica avrebbe generato. E dopo i risultati positivi che questo intervento ha generato nei primi anni si è deciso di incrementare l’investimento in questo progetto di molte centinaia di milioni. In Italia è accaduto il contrario, si è deciso di risparmiare proprio su questo tipo di intervento operando pesanti tagli che hanno di fatto reso ancora più esiguo il già insufficiente servizio psicologico nella struttura pubblica. Secondo Lei a cosa è dovuto questo differente approccio?

O.: Al fatto che siamo molto arretrati. L’Inghilterra è molto più avanzata in questo campo, noi soffriamo di alcuni difetti strutturali, la medicina organicista di tipo ottocentesco ha pesato per decenni e non ce ne siamo ancora del tutto liberati. Anche se dal giorno dell’Istituzione dell’Ordine degli Psicologi si è molto lottato per affermare la specificità psicologica, specie nella Regione Lazio, dove ha operato sin dall’inizio con successo “Cultura e Professione”, l’Associazione storica di politica professionale che io ho votato e appoggiato sin dalla sua costituzione e che ha gestito sin dall’inizio (esprimendo il primo presidente dell’Ordine) e per la maggior parte degli anni (ben tre dei presidenti dell’Ordine del Lazio erano di questa Associazione). Ma la lotta è ancora attuale e non bisogna abbassare la guardia.